Villa dal Verme

_MG_7563

Ad Agugliaro fra i colli Berici e quelli Euganei si trova un bellissimo esempio di villa risalente alle prime fasi di bonfica operate dai nobili veneziani nel Quattrocento.

Villa Dal Verme venne costruita sul finire del XV secolo e presenta elementi tipici del tardogotico veneziano.La costruzione rurale è opera di un ignoto architetto. L’edificio consta di tre piani; un pianterreno adibito a magazzino, un piano nobile e un sottotetto dove molto probabilmente trovava alloggio la servitù. Sulla facciata principale risalta una bella trifora che serviva ad illuminare il piano nobile. Il portico, che si apre con due grandi archi, veniva utilizzato  per lo stoccaggio delle merci che venivano trasportare per via acquea tramite l’adiacente canale Liona per essere poi vendute nei vari mercati. Non sono presenti pertinenze agricole adiacenti alla villa. Nel suo complesso l’edificio ricorda molto i palazzi lagunari; questo era tipico delle ville costruite nella seconda metà del Quattrocento.

Attualmente la villa versa in uno stato di profondo abbandono che ne ha pesantemente compromesso l’aspetto esteriore

 

 

Così Foscari ha salvato la vecchia villa di famiglia

035_VillaMalcontenta_2010

Di seguito riportiamo un articolo apparso su La Stampa il 13 aprile in cui viene raccontato come il conte Gianantonio Widmann Rezzonico Foscari abbia “salvato” la villa di famiglia.

Era bambino Antonio Foscari quando, dopo ogni bombardamento, suo padre Ferigo lo issava sul ferro (il traverso fra sedile e manubrio) della bicicletta. Pedalando lungo la Riviera del Brenta, oltre un viale di gelsi i due Foscari arrivavano fino a un’aia. Ad aspettarli Teodato, custode di Malcontenta la villa che Andrea Palladio aveva costruito a metà Cinquecento per Nicolò e Alvise, pronipoti di Francesco Foscari (1373-1457) il Doge che regnò ben 34 anni conquistando a Venezia la massima espansione territoriale della sua storia. «Problemi?» chiedeva Ferigo. «No. Niente di grave», gli rispondeva Teodato. «E’ la casa di un signore che adesso non può stare qui», diceva Foscari al figlio. Bertie, al secolo Albert Clinton Landsberg, raffinato esteta, erede di una ricca famiglia israelita (solo Cecil Beaton riuscirà a fotografare il suo corpo ricoperto d’erotici tatuaggi) che, nel 1924, aveva acquistato la villa capolavoro dell’architettura rinascimentale salvandola dalla rovina e aveva ricreato un’atmosfera fuori dal tempo con l’aiuto-singolare ménage à trois- dell’amico Paul Rodocanachi e della esuberante baronessa Cathérine d’Erlanger era stato infatti costretto dalle leggi razziali a lasciare con l’Italia la missione della sua vita.

Continua a leggere l’articolo su La Stampa

Recensioni: Henri Matisse, la figura.

Immagine

Abbiamo visitato la mostra “Matisse, la figura: la forza della linea, l’emozione del colore”, in corso a Ferrara a Palazzo dei Diamanti dal 22 febbraio al 15 giugno. Non diamo voti, espressi in pallini o stelline, perchè il giudizio va formato indipendentemente da ognuno, ma ci limitiamo a qualche considerazione sparsa.

Va detto, come introduzione, che qualsiasi mostra che si svolga a Palazzo dei Diamanti parte avvantaggiata dallo spazio espositivo, uno dei capolavori architettonici del Rinascimento italiano che fornisce stanze ampie e luminose con i soffitti ampi che consentono alle opere in mostra di avere sempre il giusto respiro e di non trovarsi soffocate. Anche l’allestimento è minimale e piacevole, nel senso che svolge completamente il suo lavoro: quello di non farsi notare e di lasciare spazio alle opere in mostra.

Il percorso comprende più di 100 opere e permette un viaggio completo nella vita e nell’opera dell’artista francese, dai suoi esordi divisionisti, seguendo la maniera di Cezanne, al periodo fauve (a cui appartiene lo splendido ritratto del compagno di esplorazione pittorica Andrè Derain, che riproduciamo qui di seguito), alle sperimentazioni cubiste e alle ricerche più estreme degli anni prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Immagine

La mostra ha come scopo principale quello di esplorare il rapporto che, nell’opera di Matisse, hanno il colore e la linea. Il primo è la cifra stilistica che rende immediatamente riconoscibile l’artista di Le Cateau-Cambresis, esplode nelle opera nella sua purezza priva di sfumature, pronto a cogliere le vibrazioni della vita che il pittore coglie nella realtà fisica e vuole trasmettere al suo pubblico. La linea invece è il segno che permette di orientarsi in questa esplosione, ciò che guida l’occhio e fornisce una traccia sicura da seguire. Essa è il segno del lavoro dell’artista, che non è solo un tramite della natura esterna, ma la raccoglie e la lavora.

Proprio a indicare questa via la mostra fornisce un vasto campionario della produzione scultorea di Matisse, in cui anche la solidità del bronzo mostra spesso i segni di lavorazione tipici della creta, ad indicare il fatto che la figura è il frutto di una continua lavorazione e modellazione: un’interpretazione che arriva dalle mani di Matisse, che anche nella scultura cerca la perfezione della linea e la raggiunge forse nella splendida serpentina (qui sotto), ma successivamente continua a sperimentare.

Immagine

Oltre alle sculture, la mostra permette di esplorare la produzione grafica di Matisse, estremamente complessa e composita: si pensi che l’artista francese padroneggiava perfettamente tutte le tecniche di incisione. Ne emerge un Matisse diverso dalla percezione immediata, si comprende che dietro la splendida esplosione dei suoi colori si trovava una tecnica perfettamente padroneggiata e uno studio attento degli autori classici e contemporanei, oltre che delle opere “primitive” che costituivano continua fonte di ispirazione per gli artisti della “nuova guardia” europea come Matisse e Picasso.

Se è possibile fare un appunto alla mostra è forse proprio la mancanza di confronti con il lavoro degli artisti contemporanei che sicuramente influenzavano la ricerca artistica di Matisse e il suo lavoro, ma la scelta di concentrarsi esclusivamente sulla figura dell’artista francese è in ogni caso condivisibile perchè la mostra è affascinante.

Immagine

Un giardino incantato

Immagine

Nella Bassa Padovana, nel paese di Sant’Elena, si erge una singolare costruzione, che ricorda un castello medievale, ma i cui colori e materiali costruttivi sono insolitamente moderni.

La villa porta il nome di Miari – De Cumani ricordando il matrimonio di Felice Miari e Antonia de Cumani, in seguito al quale ebbe l’attuale conformazione.

Pare che le terre intorno all’edificio fossero già coltivate nel X secolo da monaci olivetani, che le cedettero successivamente alla famiglia Cumani, una delle più antiche della nobiltà padovana. La villa testimonia l’antica grandezza conservando un ricco archivio di documenti e alcune opere di artisti veneziani, fra cui spiccano alcune tele di Palma il Giovane.

Felice Miari era l’erede di una famiglia bellunese, personaggio interessante e moderno, legato alle istanze intellettuali del suo tempo chiamò l’architetto Osvaldo Paoletti, allievo di Giuseppe Jappelli a restaurare il complesso e soprattutto a dare una nuova conformazione al parco, che divenne un interessante esempio di giardino romantico. Questo fu modificato e comparvero suggestivi edifici in stile neo-gotico, tra cui una singolare cappella dedicata al culto laico di Cavour, considerato Padre della Patria a pochi anni dall’annessione del Veneto al regno d’Italia. Il tutto in un parco che porta nomi suggestivi (Prati fioriti, Prato delle Streghe, Isola del Castellaccio, Lago Oscuro…)

Immagine

Il parco versa da alcuni anni in uno stato di abbandono, come purtroppo accade per molti giardini di dimore storiche della Regione del Veneto. Se ne parlerà il 3-4 aprile 2014 durante il XXIV corso di aggiornamento sul giardino storico presso l’Archivio Antico di Palazzo del Bo, a Padova. Villeggiare sarà presente con un breve intervento proprio sul parco di Villa Miari – de Cumani. Trovate maggiori informazioni seguendo il link: http://www.unipd.it/ilbo/sites/unipd.it.ilbo/files/RESTAURO%202014.pdf

Corso di Storia di Venezia a Mirano

DoCanaletto_Return_of_the_Bucentoro_to_the_Molo_on_Ascension_Day,_1732._Royal_Collection._Windsor.po il positivo riscontro della prima edizione l’associazione Villeggiare ripropone il corso “Storia di Venezia”.

Un’occasione per scoprire la storia di una città misteriosa e intrigante che ha contribuito a plasmare in maniera decisiva i costumi e le tradizioni di un intero popolo.

Le lezioni si terranno presso il Villaggio Solidale di Mirano con sede in via Miranese 13 a partire da venerdì 2 maggio per quattro venerdì. Orario del corso ore 21. Il corso si articolerà in quattro incontri da due ore ciascuno in cui verranno trattati i seguenti temi.

  • La fondazione della città
  • Venezia nell’Alto Medioevo
  • La svolta oligarchica e il predominio sul Mediterraneo
  • L’espansione in terraferma
  • Lo splendore artistico del XVI secolo
  • Le guerre con i turchi e la progressiva perdita dei domini oltremare
  • La lenta decadenza del Settecento
  • Dalla conquista napoleonica ai giorni nostri

Verrà trattata in maniera diacronica la storia della città lagunare; le lezioni affronteranno non solamente la storia in senso stretto, ma anche l’arte i costumi che hanno reso Venezia una città immortale.

Il contributo di partecipazione è di € 60 a persona, il corso verrà attivato con un minimo di 10 partecipanti.

Per informazioni e iscrizioni contattare l’associazione Villeggiare all’indirizzo info@villeggiare.org oppure il 3246015920

Il ’500 inquieto

Di seguito riportiamo un articolo recensione della mostra che si apre oggi a Palazzo Sarcinelli. Villeggiare nelle prossime settimane organizzerà una visita guidata per chiunque fosse interessato.

Conegliano, un’esposizione a Palazzo Sarcinelli e itinerari fra palazzi e chiese: la scoperta di una corrente non allineata all’ortodossia

Francesco da Milano. Trittico di San Rocco.

Francesco da Milano. Trittico di San Rocco.

Una parentesi nel tempo, una spanna di terra, una mezzaluna di colline e campagne solcata dalle acque generose del Piave e del Sile, ricompresa tra Asolo a est e Oderzo a ovest, nei primi cinquant’anni del Cinquecento è stata grembo fecondo per una cultura di contaminazione e mutamento. Una storia di arte e pensiero raccontata da «Un Cinquecento inquieto. Da Cima da Conegliano al rogo di Riccardo Perucolo». La mostra, aperta dall’1 marzo fino al 8 giugno a Palazzo Sarcinelli di Conegliano, curata da Giandomenico Romanelli e Giorgio Fossaluzza e promossa dalla Città di Conegliano e Civita Tre Venezie, con la partecipazione della Regione del Veneto, narra con ampia testimonianza di opere, documenti, oggetti di culto, incunaboli, quella storia così poco nota e così ricca che caratterizzò la vita culturale e artistica del territorio coneglianese nella prima metà del XVI secolo. La data di partenza del percorso espositivo è il 1517, cioè la scomparsa di Cima da Conegliano – di lui in mostra il magnifico trittico di Navolè di Gorgo al Monticano – la data di arrivo è il 1568, anno della morte di Riccardo Perucolo, pittore e frescante – suoi affreschi sono nello stesso Palazzo Sarcinelli – bruciato sul rogo nella piazza dei mercati di Conegliano, per eresia, pittore al quale Romanelli ha dedicato il romanzo Il pittore prigioniero ora edito da Marsilio.

 

Leggi l’intero articolo su il Corriere del Veneto