Cosa rende Venezia unica?
Certamente il suo rapporto con le acque, la sua unicità di città isola, che fino all’Ottocento non disponeva di un collegamento con la terraferma, cosa che permette ai suoi abitanti di avere ancora una geografia particolare in cui il mondo si divide in “città” e “campagna”, fu proprio questa particolarità a spingere Petrarca a definire Venezia “mundus alter”, un mondo a sé. Per tutto il medioevo questa alterità è stata quella di una soglia, porta e porto privilegiato per l’Oriente, per Costantinopoli, vera roccaforte dell’Impero e per Gerusalemme, Città Santa e centro del mondo.
La particolarità di Venezia non è quella di vivere un rapporto con l’acqua: fino alla Rivoluzione Industriale tutte le città per vivere hanno bisogno di fiumi e canali, che servono da vie di comunicazione e da forza motrice per le attività manifatturiere, solo dopo l’arrivo della macchina a vapore il mondo cambierà definitivamente e anche Venezia perderà la sua insularità, ma si avvierà al declino definito dal “troppo scomodo” e mascherato dal “troppo bello”.
Il rapporto di Venezia con le acque era però diverso già nei tempi antichi, l’acqua della laguna non si presta ad essere imbrigliata per spingere i mulini, non è adatta alle attività produttive, non è una via di comunicazione che si affianca alle altre: è l’ambiente in cui la città è immersa, l’ habitat naturale che spinge gli abitanti a vivere di commercio e li avvolge in una luce che non si trova in nessun altra parte del mondo.
Ed è proprio il rapporto diverso con la luce che rende Venezia “mundus alter” e la spinge a crearsi una sua leggenda sulle origini.
La leggenda più popolare è quella che vede Venezia fondata dai profughi veneti scappati di fronte all’orda di Attila alla metà del V secolo dopo Cristo, quando le “nettunie mura” cioè le acque della laguna si sarebbero rivelate un ostacolo insormontabile per i barbari che venivano dalle steppe dell’Asia, dove non avevano mai visto il mare. La leggenda contraddice però se stessa chiamando “trono di Attila” la sedia in pietra che si trova nell’isola di Torcello, che probabilmente era invece lo scranno su cui il magistrato bizantino esercitava la giustizia. In realtà le isole della laguna probabilmente erano sempre state popolate da piccole comunità di pescatori e il litorale adriatico ospitava delle ville patrizie romane, per cui una “Venezia” in qualche modo è sempre esistita in tempi storici.
Rappresentazione popolare di Attila, “il flagello di Dio”
Il cosiddetto “trono di Attila” a Torcello
Leggenda che però indica una chiara traccia storica da seguire, anche se certamente dobbiamo pensare non certo ad un fatto episodico, come la calata di Attila, ma piuttosto ad una serie di fatti che hanno causato un determinato complesso socio – economico che ha portato alla fondazione di una città – isola. Possiamo considerare per tutta Italia, e in particolare per il nord – est della penisola il periodo delle invasioni barbariche lungo almeno fino al X secolo, poi dopo il Mille abbiamo un generale processo di rinascita urbana, ma intanto Venezia si è già sviluppata e domina sull’Adriatico producendo ricchezza e medita sul suo mito da trasmettere al mondo.
Riprendiamo dunque i fatti storici, anche se poi dovremo tornare alle leggende perché solo queste ci forniscono degli appigli per sviluppare un discorso. Il V secolo è quello che tutti conoscono per la fine dell’impero romano sotto la spinta dei Barbari, l’impresa di Attila si colloca nel 452 ed ha un forte potere simbolico, come la deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’occidente, da parte del suo generale Odoacre, ma formalmente cambiò poco perché questi governò sempre per conto di Bisanzio, così come fece Teodorico che lo spodestò pochi anni dopo con i suoi Ostrogoti. Teodorico era stato anzi allevato a Costantinopoli e volle mantenere intatte gran parte delle istituzioni romane che garantivano il funzionamento dell’amministrazione pubblica, sotto il suo regno le città della Venetia, come Padova, Concordia e Aquileia continuavano a prosperare.
Ravenna, mausoleo di Teodorico. Nell’edificio si può percepire a prima vista come sia “figlio” dell’architettura romana.
Il vero momento di crisi, la fine di un mondo, avvenne nel VI secolo con la guerra tra i Goti e i Bizantini di Giustiniano, decisi a riportare le aquile imperiali sulla penisola. Questa guerra, fra vari rovesciamenti di fronte e tradimenti, durò quasi vent’anni, dal 535 al 553 e devastò letteralmente la penisola, con le campagne che furono più volte saccheggiate, i raccolti persi, i commerci interrotti. In più, a fine guerra l’amministrazione giustinianea volle imporsi in tutti i campi, compreso quello religioso, indicando rigide regole da seguire e dichiarando eretiche alcune pratiche religiose che fino ad allora erano state consentite. Lo scisma, detto dei Tre Capitoli, ebbe come avanguardie le chiese di Milano e di Aquileia, che allora erano considerate allo stesso livello di quella romana come importanza teologica. Fu proprio in questa situazione di turbolenza continua che i Longobardi calarono in Italia guidati da Alboino nel 568 dopo Cristo. Anche in questo caso l’invasione non fu un’onda travolgente, ma un processo lungo che frammentò l’Italia, soprattutto quella settentrionale, in “isole” longobarde e bizantine in uno stato di guerra semipermanente. L’intera regione costiera dell’Adriatico, da Grado a Ravenna rimase compatta sotto il dominio bizantino, ma in essa era molto più sicuro muoversi via mare che via terra: per questa ragione si può pensare che le isole della laguna abbiano cominciato a prosperare come porto in una situazione come questa in cui costituivano una tappa obbligata e sicura. In più nel 601 dopo Cristo Padova fu conquistata dai Longobardi e praticamente distrutta, in quell’occasione il suo vescovo si trasferì a Malamocco e vi rimase almeno fino al 680, per cui possiamo pensare che l’isola fosse ritenuta adatta ad ospitare un personaggio di tale rango (ricordiamo che la Padova tardo antica era una delle città più ricche d’Italia).
L’Italia dopo la calata dei Longobardi di Alboino (568 d. C.)
Il mito – storia (o la storia riportata dal mito) assegna il merito di aver organizzato una città sulle isole della laguna ad un altro vescovo la cui sede era stata distrutta dai Longobardi, Magno di Oderzo. Questa città fu conquistata nel 638 e i suoi abitanti, guidati dal loro prelato, avrebbero fondato una città più sicura, protetta dalla laguna, ad Eraclea. Successivamente il vescovo intraprese una “visita pastorale” fra le diverse comunità della laguna, che frequentavano la chiesa di San Giacomo a Rivo Alto, fondata il 25 aprile 421, data che tradizionalmente segna la nascita di Venezia. In otto luoghi della laguna il santo vescovo ebbe delle visioni di santi e in ognuno di questi luoghi fondò una chiesa (San Salvador, Santa Maria Formosa, Santi Apostoli, San Giovanni in Bragora, San Zaccaria, Santa Giustina, San Raffaele, San Pietro di Castello), adesso la città aveva nove parrocchie, numero importante da un punto di vista simbolico, che ci indica come si possa giungere a considerare nata Venezia (di Magno abbiamo già parlato https://wordpress.com/view/villeggiare.wordpress.com).
Risale invece alla fine dello stesso secolo, il VII, la nomina del primo doge, Paolo Lucio Anafesto, che nel 697 fu nominato dux, cioè comandante militare con potestà grossomodo sull’area della luguna e sede ad Eraclea, che anche in questo caso può essere considerata la “madre” di Venezia, ci vorrà circa un secolo perché, nel 742, Venezia sia pronta ad ospitare la sede del Doge, ora non più nominato da Ravenna, cioè dalla burocrazia bizantina, ma eletto direttamente dal popolo delle lagune. La sede del magistrato sarà la stessa scelta a suo tempo dal vescovo di Padova, Malamocco, allora molto più estesa.
Il IX secolo è fondamentale per la crescita di Venezia. Al di fuori dei confini del Dogado, ai Longobardi si sostituiscono i Franchi e anche loro cercano di unificare l’Italia Settentrionale sotto il proprio dominio, scacciando definitivamente le guarnigioni bizantine. Venezia è teatro di uno scontro fondamentale in questa lotta: nell’810 una flotta franca si addentra nella laguna, ma i veneziani la eludono e la portano in un terreno favorevole, nei fondali bassi di fronte all’isola che poi sarà chiamata Giudecca dove, servendosi di imbarcazioni dal fondo piatto, hanno facilmente ragione delle ingombranti navi franche che non riescono a manovrare. Proprio a celebrazione di questa vittoria la zona assume il nome di Zattere e il doge Agnello Partecipazio trasferisce la propria sede a Rialto, nel cuore dell’area urbana identificata dalle parrocchie fondate dal vescovo Magno. Ormai Venezia è una città e il doge è sempre più indipendente e importante, e lo diventa ancora di più quando in città viene firmata la pace tra Franchi e Bizantini.
Dal punto di vista simbolico manca ora un solo tassello per assistere alla nascita di Venezia come la conosciamo, ma è il tassello più importante, un punto di unificazione che sia superiore alla figura politica del Doge.
San Marco raggiunge Venezia nell’828 dopo Cristo. La leggenda vuole che alcuni mercanti veneziani ne abbiano trafugato il corpo da Alessandria d’Egitto, dove l’evangelista era morto martire dopo aver fondato una delle chiese più importanti del cristianesimo primitivo. Tuttavia san Marco non era solo il fondatore della lontana chiesa di Alessandria, era considerato anche colui che aveva istituito la chiesa di Aquileia, sede dell’unico patriarca dell’Occidente che aveva giurisdizione anche sulla laguna e sulla città di Venezia. Portare in città le reliquie di san Marco era un importantissimo segno politico, significava avere il simbolo necessario ad unificare decisamente le genti delle lagune e ad aspirare a sorpassare Aquileia non solo sul piano ecclesiastico ma anche e soprattutto su quello politico.
Tuttavia, perché Venezia assuma definitivamente un ruolo di primissimo piano nello scacchiere politico dell’Italia settentrionale e dell’Europa bisogna attendere circa un altro secolo. Il X secolo è un periodo di grandi movimenti di popoli, i Normanni cominciano a muoversi dall’estremo nord verso sud e verso est, mentre da sud si intensificano sempre di più le scorrerie arabe dalle basi navali della Sicilia, ma il pericolo maggiore per l’Italia arriva da est e sembra essere la riedizione dell’assalto dell’orda di Attila. Sono gli Ungari, un popolo di origine asiatica stanziatosi in Pannonia(l’attuale Ungheria) nell’896 dopo Cristo. Da lì iniziano una serie di scorrerie verso il Friuli, il Veneto e la Lombardia, che dureranno a fasi alterne fino al 955, quando gli Ungari saranno definitivamente sconfitti dall’imperatore Ottone I. Venezia, grazie alla protezione delle acque, rimarrà non toccata dagli assalti ungari, anzi, respingerà un timido attacco navale e ne prenderà lo spunto per inseguire i nemici fino dall’altra parte dell’Adriatico, mettendo per la prima volta le mani sui porti della costa dalmata. In questo modo il dogado si estenderà sulle due sponde del mare e sarà pronto a spingersi ancora oltre e sempre più a Oriente nei secoli successivi. Nello stesso periodo, intanto, comincia a definirsi la peculiare forma politica della Serenissima, con un consiglio che si affianca al Doge nella gestione degli affari di stato.
Pietro II Orseolo (doge dal 991 al 1002), guidò le flotte veneziane contro i pirati dalmati e liberò Bari dai Saraceni. Successivamente si ritirò dal governo ritirandosi nell’abbazia di San Michele di Cuxa, seguendo l’esempio del padre anch’egli doge.
In questo momento, alle soglie del Mille, la città è pronta a spiccare il balzo che la renderà una grande potenza economica e politica; le sue navi sono uno dei maggiori elementi di contatto fra Oriente e Occidente e soprattutto il mondo occidentale sta cambiando. Dopo la fine delle incursioni degli Ungari, c’è stato un periodo di relativa calma e le diverse città italiane ne hanno approfittato, crescendo di popolazione e producendo più materie prime che hanno portato a una crescita dei commerci, dapprima su piccola scala, poi via via su spazi sempre più ampi, e Venezia con le sue flotte è sempre più pronta a rischiare e guadagnare, spesso accorrerà in difesa delle guarnigioni bizantine per difenderle da Arabi e Normanni e ne ricaverà in cambio privilegi commerciali e esenzioni dalle tasse per i suoi cittadini, che potranno avere posizioni privilegiate d’accesso ai beni di lusso che si trovano in Oriente.
Lentamente la città prende forma, nel XII secolo è verosimilmente certa della sua potenza e grandezza, a giudicare dai simboli che vediamo nelle grandi cattedrali di Torcello e Murano che risalgono a quegli anni, in entrambe è presente, nell’abside, la raffigurazione gigantesca a mosaico della Vergine ammantata di blu e immersa nella luce sfavillante dell’oro. Verosimilmente si tratta di una raffigurazione di Venezia stessa, la città vergine perché immacolata, mai toccata dai nemici, e immersa nell’oro della luce che si riflette sulle stesse acque che la proteggono.
La Vergine di Torcello
La Vergine di Murano
Anche la città cresce e si definisce nel corso dei secoli: alla fine del XII, il doge Sebastiano Ziani (regnante dal 1172 al 1178) diede ordine al primo architetto veneziano di cui si conosce il nome, Nicolò Baratiero di costruire il primo Ponte di Rialto. Si tratta di una decisione storica perché questo è il primo ponte ad attraversare il Canal Grande (e per diversi secoli sarà l’unico), che sorge nel punto centrale della cittàil vero e proprio ombelico, situato nel luogo dove le merci e il denaro vengono continuamente messi in circolo e “digeriti”. Il ponte era in legno e soprattutto poteva aprirsi a metà per far transitare le navi più grandi, con i loro alti alberi maestri, e per l’epoca doveva trattarsi di un’opera ingegneristica veramente notevole.
Allo stesso Nicolò Barattiero è attribuita l’erezione di un altro dei simboli di Venezia, le due colonne con i simboli di san Marco e san Teodoro che costituiscono la porta da mar di Piazza San Marco, la via d’accesso alla città dalla parte del mare, lo scalo che doveva impressionare i visitatori di alto rango che giungevano al palazzo del Doge.
Le due colonne di Piazza San Marco furono portate da Costantinopoli via mare. La leggenda vuole che una terza colonna sia caduta in mare quando fu scaricata dalla nave.
Dopo sei anni di dogado, Sebastiano Ziani morì, e il suo posto fu preso da una delle figure più impressionanti della storia di Venezia, Enrico Dandolo. Quando fu eletto, il Dandolo aveva 85 anni e per di più era cieco, in seguito ad un “incidente” in una missione diplomatica a Costantinopoli, eppure non esitò a lanciarsi in guerra contro il regno di Ungheria, appoggiato dalla repubblica marinara di Pisa, per il possesso della città di Zara. Nel 1202 la città sembrava definitivamente persa, ma in quello stesso anno fu dichiarata la quarta crociata e i sovrani d’Europa si rivolsero a Venezia per il trasporto delle truppe verso la Terra Santa. Il Dandolo accettò, anzi promise che i Veneziani si sarebbero impegnati nei combattimenti, ma chiese un prezzo per il trasbordo: l’aiuto crociato per la conquista delle città di Trieste, Muggia e Zara.
Nel 1203 i crociati mantennero l’accordo, anzi si lasciarono andare con entusiasmo al saccheggio di Zara prima di ripartire per la guerra santa, ma nella città dalmata avvenne un altro incontro con il destino, sotto le spoglie di Alessio Angelo, principe spodestato dell’impero bizantino, che promise ai crociati aiuto militare e risorse economiche se fossero andati a Costantinopoli a rimettere il padre sul trono. Così la crociata intraprese la sua seconda e fatale deviazione, la città imperiale cadde facilmente, ma le promesse bizantine non furono mantenute con altrettanta facilità, così i guerrieri di Cristo decisero di prendersi con le loro stesse mani quello che volevano da una delle maggiori città della cristianità.
Gerusalemme rimase in mano agli infedeli, ma i crociati si spartirono Costantinopoli ed un bottino immenso. Dandolo morì a Costantinopoli nel 1205, a 98 anni, ma il suo successore Pietro Ziani si trovò a disposizione un’eredità di tesori inestimabili per portare a compimento il lavoro iniziato in Piazza San Marco da suo padre Sebastiano. E fu sotto il suo dogado che nacque la grande basilica che oggi conosciamo.
Enrico Dandolo morì a Costantinopoli e fu sepolto all’interno di Santa Sofia, da conquistatore.