Perché “vedere Venezia”?

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Se osserviamo le discussioni su giornali e media in genere sulla cultura e sui sistemi di esposizione notiamo che, specie negli ultimi tempi, essa si concentra sul sistema delle Soprintendenze e dei musei.

Si parla spesso di gestione aziendale dei beni culturali, del loro marketing, e poi, nella stessa frase, si dice che bisogna rifarsi ad un modello (inglese, francese, tedesco, a seconda di chi parla). Domandiamoci però una cosa: è così che deve funzionare? Se seguiamo un corso di marketing, anche semplice, viene spiegata una cosa: un prodotto si differenzia sul mercato sfruttando i propri punti di forza, le proprie peculiarità, la propria identità. Qual è l’identità italiana? Se andate a visitare una capitale straniera, specialmente nel nord dell’Europa, sarete inevitabilmente attirati nei grandi musei o in specifici monumenti identitari che costituiscono un simbolo della città o della nazione che li ospita.

Trasportiamo il modello in Italia e a Venezia e ci diremo che dobbiamo vedere Piazza San Marco o le Gallerie dell’Accademia. Eppure se ci muovessimo per Venezia con il solo scopo di visitare quei luoghi, ci mancherebbe qualcosa. Non ci si può muovere per una città con ponti e canali come ci si muove per una città che usa la metropolitana. Venezia è una città che aborre la linea retta, per andare dal punto A al punto B ci sono molte strade, e quella che sembra più breve molto spesso si interrompe. Palazzo Mastelli in Venedig

Tuttavia è proprio la non-linearità che costituisce il bello. Trovarsi di fronte l’inaspettato, lo sconosciuto, o forse semplicemente qualcosa che ha una storia propria e personale da raccontare e condividere. L’Italia si distingue dalle altre nazioni europee per essere stata a lungo un luogo di incontri e di scambi, di formazione di idee nuove e assolutamente non monolitiche e Venezia è qualcosa di unico proprio in questo: un luogo che muta continuamente nel tempo: una città con origini leggendarie, poi un pezzo di Oriente, poi città fantastica nelle sculture di Tullio Lombardo e nelle invenzioni pittoriche di Carpacciocarpaccio_029_vita_santo_stefano_1514, poi nuova Costantinopoli e terza Roma per Sansovino, poi invenzione barocca e infine splendore rococò nei sogni di Giambattista Tiepolo, che la vide, forse, come madre del futuro. Un futuro che continua a vivere nella città viva e scrostata di Giacomo Favretto Traghetto_della_Maddalena_500x290

O ancora le sincopate sinfonie di Luigi Nono, così adatte ad una città in continuo mutamento.

La nostra Associazione nasce con lo scopo di indicare e accompagnare le persone alla scoperta degli angoli, delle storie che essi raccontano, come viaggio alla scoperta di se stessi, della propria ricchezza culturale, delle possibilità di scoperta che ognuno di noi ha nella propria vita.

Venezia, il Veneto e poi, chissà, l’Italia e oltre sono il luogo ideale per questo viaggio: un crogiolo alchemico di storie e Storia che si riflettono nel territorio, anzi lo plasmano e costruiscono come luogo della vita per l’uomo. Per iniziare questo percorso, nell’autunno 2014 proponiamo quattro visite guidate a quattro chiese di Venezia, intese proprio come scrigni di storia, luoghi in cui l’esperienza umana ha costruito qualcosa di unico, che merita di essere ammirato e compreso per essere, per quanto possibile, costruito sotto nuove forme. Una Venezia scoperta rigorosamente a piedi, con tempi lunghi, per guardarsi intorno e approfondire il più possibile gli argomenti e le curiosità. Per chi fosse interessato a partecipare, pubblichiamo il volantino.

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Venezia fra mito e distruzione, parte II

La prima parte dell’articolo può essere letta qui https://villeggiare.wordpress.com/2014/01/18/venezia-fra-mito-e-distruzione/

Successivamente al rischio di cui abbiamo parlato nella prima parte di questo pezzo, la nuova classe dirigente veneziana dovette rinnovare completamente la propria immagine cercando di proporre una vera e propria “renovatio urbis”, una rivoluzione urbana che avrebbe comunicato in ogni aspetto della vita cittadina il rinnovamento del potere veneziano e il cambiamento delle sue intenzioni verso i sudditi, che sarebbero passati da conquistati a beneficiati di un nuovo regime. 

Ed è soprattutto nei dipinti di Paolo Veronese per Palazzo Ducale che il mito trova realizzazione, e fra le varie immagini dipinte dal grande artista ce n’è una che starebbe benissimo su un manifesto inneggiante al federalismo fiscale.

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Giunone riversa doni e prosperità su Venezia. Una delle invenzioni più felici dell’iconografia del mito: non c’è una separazione netta fra sopra e sotto, le due figure femminili si rispecchiano una nell’altra, sono la stessa cosa. E soprattutto in Giunone si nasconde la maschera dell’altra Regina del Cielo, la Vergine, che spesso si identifica con la città, il 25 marzo è la data di nascita di Venezia e coincide con quella dell’Annunciazione, festa mariana per eccellenza.

Venezia si identifica come città regale e città santa, al tempo stesso Nuova Bisanzio (cioè Nuova o meglio Nuovissima Roma) e Nuova Gerusalemme. È colei su cui, a buon diritto, cadono i doni del cielo, ma è anche coli che quei doni dispensa, a suggerire l’idea di una redistribuzione delle risorse, che certo non avvenne in Età Moderna e probabilmente non avverrebbe ora, in Età Contemporanea.

Questo non è però l’unico modo in cui si sfrutta il mito di Venezia oggi, a livello quasi completamente inconscio. A questo mito “alto”, di cui si possono percepire solo le tracce che corrono sotto la pelle del tessuto sociale della regione, se ne è nel tempo affiancato un altro, quello di Venezia città altra, romantica e fuori dal tempo, in cui il tempo si è fermato e in cui il tempo non scorre. Mito a buon mercato (neanche troppo) per turisti mordi e fuggi, ma anche mito sfaccettato e rivoltato negativamente, inteso come trasformazione della città in città-museo e come tale, luogo noioso, polveroso, rivolto solo al passato e votato alla distruzione.

Mito negativo che nasce con i futuristi, che non concepivano l’esistenza di Venezia, che proponevano l’abbattimento dei vetusti palazzi cadenti per usare le macerie per colmare i canali e trasformarli in strade dove avrebbe potuto sfrecciare il progresso. D’altra parte poco prima i veneziani stessi avevano voluto un luogo in cui poter fare le passeggiate in carrozza, come si addiceva al loro rango, il risultato fu via Garibaldi, unico luogo di Venezia, con l’eccezione di Piazza san Marco, a cedere alla toponomastica comune alle altre città, non fondamenta, rio terà, calle, ma via.Simbolicamente non è un passaggio da poco, è la trasformazione delle “antiche mura”, di quello che veniva visto come lo strumento di difesa e il rifugio sicuro per eccellenza in un ostacolo da abbattere. Furono momenti, quelli di inizio Novecento che segnarono la prima trasformazione del tessuto urbano, e il suo ripensamento verso forme urbanistiche in tutto e per tutto simili a quelle delle altre città, con fatti eclatanti come la costruzione del Ponte della Libertà, che segnava la fine dell’isolamento difensivo veneziano e l’apertura ad un progresso che iniziava a farsi vivo in tutti i campi, anche con l’istituzione della prima biennale nel 1895. Il senatore Pompeo Molmenti, personaggio di spicco dell’ambiente culturale veneziano del tempo commentò il fatto con un “delendae Venetiae”, significando che se non si teneva conto delle specificità della città, se si voleva considerarla come un qualsiasi altro centro abitato, allora tanto valeva abbatterla completamente e ricostruirla altrove (che era uguale a non ricostruirla più).

A questo mito i pittori veneziani del tempo, formatisi all’Accademia sotto la guida, tra gli altri, dello zio di Molmenti stesso opposero a queste teorie la ricerca pittorica di una Venezia “vera” e vista sempre dalle acque, dal suo elemento primigenio, ne costituiscono un esempio estremo i campi affollati di vita di Giacomo Favretto 

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Venezia ha vissuto tutto il Ventesimo secolo e lo scorcio di questo Ventunesimo in questa contraddizione, venendo coinvolta in progetti urbanistici che ne volevano l’ammodernamento, ma che ne segnavano la perdita di specificità, che non facevano altro che rendere più paradossale la sua situazione. Perchè la nuova architettura non è veneziana, si rifiuta di pensare Venezia come una città che non sorge su un terreno solido (esempio lampante l’avveneristico ponte di Calatrava) e giunge a non capire che pensare edifici senza anima in legno a Venezia significa causarne lo sprofondamento.

Ultima incarnazione di questo paradosso è la candidatura olimpica della città. Sostenuta da tutti e a tutti imposta con la solita scusa “porterà lavoro e schei a tutti” (vedere la figura sopra), la candidatura è ovviamente un paradosso, perchè tutti sapevano che non sarebbe stata accettata. È inutile girarci intorno, Venezia non può sostenere i numeri di persone che girano intorno ad un evento olimpico, tanto più se sommate al già eccessivo traffico turistico.

E soprattutto Venezia non è in grado di offrire i servizi necessari a quelle persone, né agli spettatori, né agli atleti. Il prezzo da pagare per farlo sarebbe la rinuncia alla specificità di Venezia, sarebbe cioè “Delendae Venetiae”, trasformare Venezia in qualcosa d’altro, forse più bello, forse più utile, ma forse invece più brutto e invivibile, comunque sia significherebbe la rinuncia non solo al mito, ma anche alla storia.

Ma coloro che premono per la candidatura olimpica e oggi per altre cose, magari la revisione dell’antico fondaco dei Tedeschi non si interessano alla storia, forse si interessano al mito, e sono perfettamente consapevoli che un mito può essere riscritto in modo abbastanza semplice, soprattutto se si fa propaganda, e allora ricorrono al nuovo mito Venetiae = le Venezie, il Veneto.

Eppure il Veneto stesso non ha gli spazi e le strutture per organizzare la modernità che magari è nata pensando agli spazi di san Francisco, e anche lì lo spazio di manovra per costruire è poco, mangiato non dai vecchi canali, ma dai nuovi capannoni, che hanno modificato il paesaggio verde e azzurro dei quadri di Cima da Conegliano e Lorenzo Lotto in qualcosa di irriconoscibile e grigio. Bisognerebbe ripensare e riqualificare gli spazi della regione come non è mai stato fatto, e questo non può essere fatto con i soldi dei finanziamenti olimpici o di altri finanziamenti che dovrebbero arrivare da un cielo in cui forse non alberga più una pietosa Giunone. Semplicemente perchè non è di quello che la regione ha bisogno, questa terra non ha bisogno di mega-strutture sportive o di infrastrutture pesanti e voluminose che attirino lo sguardo e facciano spalancare le bocche dallo stupore. Ha invece bisogno di snellirsi e alleggerirsi, trovare spazi più ampi per respirare e vivere meglio, senza doversi schiacciare ad ogni costo sotto il peso di se stessa.

Bisogna, insomma, uscire da una teoria delle “grandi opere”, di cose pesanti e costose che hanno poca utilità pratica, ma finiscono per schiacciare ogni altra idea sotto la loro mole, concentrando tutte le risorse e i finanziamenti nelle mani dei pochi, che vogliono tanto sentirsi eredi degli oligarchi veneziani per lasciare ancora una volte le briciole agli altri.

Venezia ha costruito un mito di se stessa per non trovarsi di fronte alla storia, per paura del fallimento, ancora una volta si tenta questa strada, ma sarebbe necessario guardare ad altre soluzioni.

Venetiae è diventata Venezia, al singolare, è una città ed è ancora orgogliosamente viva, sebbene un po’ ammaccata, i suoi ponti sono ancora in piedi, la sua architettura leggera sfida ancora lo sprofondamento del suolo, in modo molto più efficace di quanto possa fare qualsiasi progetto di grande opera. La sua storia è stata piena di ombre, che qualcuno ha sempre preferito non vedere, ma anche di luci altrettanto ignorate, fu ad esempio a Venezia che Francesco Zorzi e Guillaume Postel annunciarono l’arrivo di un mondo nuovo fatto di concordia universale e amore fraterno, di religioni tolleranti e uomini capaci di cambiare il mondo.

Venezia non fu forse mai le Venetiae in senso pienamente pluralistico, ma questo non significa che non possa mai diventarlo, perchè è Venezia che può offrire un modello di diversità al Veneto e anche più in là, con la sua esistenza può insegnare che ci sono modi di vita diversi da quelli che purtroppo consideriamo normali, imposti da un’urbanistica (e da una società) che troppo spesso vuole piegare tutto e tutti a principi utiliritaristici. Venezia ci dimostra che si può vivere rispettando l’ambiente circostante e integrandosi ad esso in una simbiosi perfetta e trovare in ciò un motivo di distinzione e di orgoglio.

No, non è ancora il momento di dire con rassegnazione “delendae Venetiae”.

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